Studiopepe: Arianna e Chiara raccontano il loro design fra viaggi e serendipity

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Sarà stato il parquet chiaro mielato a lisca di pesce, saranno state le citazioni incorniciate, le pareti bianche piastrellate o le porte-vetrate a tratti specchiate, ma quando mi sono addentrata nel loro spazio, ho respirato un’atmosfera quasi parigina… Eppure mi trovavo nel centro di Milano, nell’accogliente e poliedrico studio di Arianna Lelli Mami e Chiara Di Pinto.

Due giovani donne, tanti objets trouvés (soprattutto di Arianna!) e una favolosa storia da raccontare. Da qui è iniziata la mia intervista alle girls di Studiopepe.

Studiopepe, così le due designer hanno chiamato la loro realtà dal fare internazionale, sembra una bellissima moodboard di Pinterest. Ovunque nel loro spazio si respira un’aria in divenire, dove l’ispirazione potrebbe nascere da ogni angolo e da ogni oggetto. Due giovani donne, tanti objets trouvés (soprattutto di Arianna!) e una favolosa storia da raccontare. Da qui è iniziata la mia intervista alle girls di Studiopepe.

 

Come è iniziata l’avventura di Studiopepe? Cosa ha fatto scattare la scintilla tra di voi?

Arianna: «Tutto merito di quella che viene chiamata sincronicità o serendipity… Eravamo entrambe in viaggio in Messico, ma separatamente. L’una non sapeva che l’altra fosse in vacanza nello stesso posto. Poi un giorno in una spiaggia con pochissima gente, in un posto praticamente sconosciuto e remoto, io da lontano vedo questa chioma rossa che si allontana e penso “no, ma questa è Chiara!”, ed era veramente lei! Ci siamo conosciute all’università, entrambe laureande al Politecnico di Milano, con la stessa relatrice. Ci conoscevamo, parlavamo, eravamo in confidenza all’università, ma non uscivamo la sera insieme, eravamo più colleghe da pausa caffè».

 

Chiara: «In quegli anni creavamo entrambe set fotografici, lavorando come assistenti. Anche all’epoca avevamo diversi punti di contatto tra noi».

Arianna: «Successivamente al viaggio, ci siamo incontrate a Milano e poi si è messo di mezzo il destino. Il primo servizio che abbiamo fatto insieme era per “Case da abitare”, una rivista famosa che ora purtroppo non c’è più ma che allora guardavamo con grande ammirazione. Abbiamo realizzato un progetto di interior che era una sorta di rebus tridimensionale. L’idea alla fine è piaciuta tantissimo e infatti ci è stata data la copertina».

 

Come inizio non c’è male!

Chiara: «Sì, è stato un battesimo importante. Poi da lì siamo partite. Involontariamente, siamo partite dall’alto».

 

C’è stato un momento in cui avete capito che il vostro sogno stava diventando realtà?

Arianna: «Sicuramente dopo aver trovato lo spazio giusto per il nostro studio. Fra l’altro questo studio in cui siamo adesso è stato anche il primo che abbiamo visto. All’inizio avevamo preso solo una stanza. Dopo qualche anno, gli architetti dello studio qui a fianco sono andati via e noi abbiamo potuto allungarci su tutto il piano».

...uno studio ti dà una forma mentis più imprenditoriale, altrimenti è come se tu non ci credessi abbastanza o non volessi provarci fino in fondo.

Come è stato aprire il vostro studio? Avevate pareri a favore e pareri contro?

Chiara: «Un sacco di persone ci dicevano “ma cosa aprite a fare uno studio?!? Sono costi…” Però uno studio ti dà una forma mentis più imprenditoriale, altrimenti è come se tu non ci credessi abbastanza o non volessi provarci fino in fondo. Avere un luogo fisico è importante, anche perché noi ci occupiamo di luoghi fisici».

 

Invece, quanto è bello essere in due?

Arianna: «Penso che sia importante che la creatività risieda nella dialettica. Il nostro è un lavoro di confronto. Nelle avversità è importante essere in due, perché così anche mentalmente ti dai manforte. Non solo perché tu hai una skill e l’altra no, e viceversa, ma perché ti rende un’unità corazzata».

il colore, l’accostamento cromatico dei materiali, è sicuramente un nostro punto di forza e un po’ una nostra costante.

Nel vostro approccio multidisciplinare ai progetti c’è una componente grafica, estetica, di colore, progettuale, funzionale che prevale su qualcos’altro?

Chiara: «Dipende dal progetto, però diciamo che il colore, l’accostamento cromatico dei materiali, è sicuramente un nostro punto di forza e un po’ una nostra costante. Però, dipende: se ci sono dei progetti in cui il colore è meno preponderante o comunque c’è una scelta cromatica accurata ma più sottotono, a volte prevale un approccio grafico, a volte uno più scultoreo e installativo. Abbiamo un linguaggio molto eclettico e sfaccettato».

 

Arianna: «C’è sicuramente un fil rouge che collega il nostro lavoro, perlomeno questo è quello che ci dicono. Dal nostro punto di vista, però, i progetti sembrano tutti molto diversi tra loro. Probabilmente è anche una questione temporale, da quando abbiamo cominciato abbiamo fatto talmente tante cose, e talmente diverse tra loro, che alcune adesso ci corrispondono meno».

 

Qual è la caratteristica principale di una e dell’altra, che poi mettete insieme?

Arianna: «Io amo molto gli interni, l’interior design, tutto quello che è l’accostamento, non solo di colore, ma anche la domesticità di un ambiente. Mi piace molto la relazione degli oggetti tra di loro. Cerco sempre l’armonia delle cose».

 

Se c’è qualcosa fuori posto ti dà fastidio?

Arianna: «Quando vado in un albergo, cambio, tolgo, sposto tutto, altrimenti sto male. È proprio un bisogno, non posso farci nulla».

*risata generale*

 

Chiara, invece la tua caratteristica principale?

Chiara: «Secondo me, anche se non so bene come spiegarla, è il colpo di genio».

Arianna: «Sì, quell’idea che magari inizialmente è irrealizzabile e che poi piano piano prende forma. Chiara ha delle intuizioni, delle visioni assurde, io le capisco e cerco di tradurle in qualche cosa di concreto e di elegante. Questo è il punto di partenza, però poi c’è un grandissimo lavoro di incontro, scontro e modellazione».

Chiara: «Funzioniamo molto meglio quando siamo in due perché questo è il meccanismo che ci dà forza».

 

E poi c’è la serendipity…

Chiara: «La serendipity è proprio un concetto nostro».

 

Si ritrova anche nei vostri lavori?

Chiara: «Sì, assolutamente».

 

Fateci qualche esempio

Arianna: «L’ispirazione di tanti servizi è derivato da alcuni viaggi che abbiamo fatto».

Chiara: «Ci sono anche dei casi in cui i limiti di un progetto si trasformano nella peculiarità del progetto stesso. Oppure a volte è tutto merito della sincronicità. Come per “Out of the blue”, il nostro lavoro di due anni fa al Salone del Mobile. Io avevo trovato questo laboratorio che faceva antiche tecniche fotografiche, tra cui la cianotipia. Una tecnica che ho adorato sin da subito. Da lì è venuta fuori l’idea di fissare in modo tridimensionale la luce, ovvero la caratteristica e il tema portante di tutto il lavoro esposto poi al Salone del Mobile. Questo progetto è stato come un mettere insieme tanti puntini».

 

È un traslare la vita nel design, nel progetto…

Chiara: «Sì, ti faccio un altro esempio: l’anno scorso eravamo in Canada e siamo state in un ristorante che ci avevano consigliato. Arrivate lì ci dicono che non c’era posto ma che il locale aveva uno speakeasy proprio dietro l’angolo. Quando siamo entrate in questo luogo, abbiamo scoperto uno spazio molto anni ‘40, molto secret bar. E subito abbiamo pensato di creare qualcosa del genere al Salone del Mobile, però con altri codici estetici. Da lì è nata l’intuizione per il bar di “Club Unseen”»

Il bar di “Club Unseen”, che è una parte del progetto dello scorso Fuorisalone, mi ha veramente colpito. Ho avuto la sensazione che ci fosse una forte suggestione proveniente dal teatro. È corretto?

Arianna: «Sì, volevamo teorizzare il concetto dell’attesa, che è una cosa che al bar non piace mai fare. Attendere i cocktail non piace mai a nessuno, ma abbiamo reso l’attesa un punto di forza. Ecco cosa intendeva Chiara poco fa quando parlava di “rendere un limite un pregio”».

 

La realizzazione di “Club Unseen” è nata da una partnership?

Arianna: «No, la realizzazione è stata affidata a un bravissimo artigiano che lavora il vetro».

Chiara: «Tanti dei progetti al “Club Unseen” hanno avuto un tocco handmade. Penso soprattutto alle ceramiche, ad esempio. Perché per noi la manualità è una cosa fondamentale, così come la cura dei dettagli fa parte del nostro dna».

 

La passione per il design da dove vi è nata, andando a ritroso?

Arianna: «La passione per il design è molto vecchia. Mi ricordo che già a scuola ritagliavo dalle riviste gli oggetti che mi piacevano e facevo dei collage. Da piccola leggevo le riviste di mio nonno che faceva l’arredatore. Mi è sempre piaciuto».

 

Hai un prodotto di design preferito?

Arianna: «Mi mette in crisi questa domanda perché non ho un preferito, ma mille! Un prodotto che a me piace tanto è la Superleggera di Giò Ponti, perché fa parte della mia domesticità, però in realtà non ho un prodotto preferito. Te ne direi uno che cambia ogni mese, ogni anno o ogni giorno.

 

Il tuo, Chiara?

Chiara: «Neanch’io ho un prodotto particolare. Il mio amore per il design è stato più che altro una fascinazione. Ho provato a lavorare nella moda ma ho capito che non era quella la mia storia. Poi c’è stato l’ennesimo episodio di serendipity, che voglio raccontarti.

Ero iscritta all’università da un paio di mesi e mio padre mi chiese di incontrare un suo cliente che si occupava di design. Si chiama Bruno Munari, mi disse. Il nome non mi diceva nulla, così andai in biblioteca per cercare informazioni e capii che era un designer importante. Mi presentai all’incontro con Munari senza conoscere bene i suoi progetti. Non scorderò mai questa persona leggera ma densa e… molto giocosa. Capì perfettamente che non sapevo niente di lui e nonostante ciò, mi fece vedere tutti i suoi cassettini dello studio, con tutti i reperti. Se potessi andarci adesso, mi sentirei molto più che una privilegiata. Però allora andai con quell’animo da ventenne, spensierata e un po’ naif. Quando suonai il campanello dello studio, non rispose nessuno e pensai che avesse dimenticato l’appuntamento. Poi vidi arrivare questo omino con le borse della spesa e chiesi “è lei?” e anche lui mi guardò e disse “anche lei è lei?”. È stato un bell’episodio».

Milano influisce indubbiamente molto nei nostri progetti, ci è capitato di recente di pensare ad un progetto per Amsterdam in cui abbiamo portato un po’ di milanesità.

Milano è la vostra base da sempre. Qui avete studiato e qui avete deciso di aprire il vostro studio. Come e quanto Milano influisce nei vostri progetti?

Chiara: «Influisce indubbiamente molto, ci è capitato di recente di pensare ad un progetto per Amsterdam in cui abbiamo portato un po’ di milanesità».

Arianna: «Milano in questi anni sta acquistando più consapevolezza di se stessa. È una città meno appariscente, più nascosta di tante altre. Ha tanta storia, però è una città lavoratrice che non si perde via nel raccontarsi».

I vostri progetti futuri?

Chiara: «Stiamo lavorando a dei nuovi spazi retail, tra cui un flagship store a Bangkok per un noto marchio thailandese. Entro il 2019 completeremo un albergo a Parigi. Abbiamo anche alcuni progetti privati molto importanti e stiamo collaborando alla Fashion Week di Milano».

Arianna: «A parte altri progetti editoriali, stiamo ultimando due nuovi cataloghi, uno per Agape e uno per Fendi, che usciranno alla fine dell’anno».

Credi anche tu nella serendipity? Cosa ne pensi di questa magnifica coppia creativa del design? Conosci qualche loro progetto? Quale preferisci? 

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